Dopo
oltre 20 anni dalle riforme introdotte con le legge n. 142 e n. 241
del 1990, l’idea dell’amministrazione “casa di vetro” (che,
causa anche resistenze interne ed esterne alla PA, è risultata nel
tempo ridimensionata fino al suo sostanziale annullamento) è ancora
ben lontana dall’essere realizzata.
In
quegli anni la trasparenza coincideva con il “diritto di accesso
agli atti e documenti amministrativi”: un diritto riconosciuto
esclusivamente a chi avesse dimostrato di avere un “interesse
concreto” e “giuridicamente rilevante” che non poteva in alcun
caso sostanziarsi in una forma di controllo generalizzato
dell'operato dell’amministrazione.
Dal 1990 ad oggi sono cambiate molte cose: l’evoluzione tecnologica e
l’esigenza di ricostruire un nuovo rapporto Stato-cittadino, hanno
reso molto presto evidente quanto fosse limitata la visione del
legislatore del secolo scorso sul tema della trasparenza.
Inizia così un percorso di “riammodernamento” dell’istituto che porta
all’approvazione di una serie di normative che portano da ultimo a
introdurre il concetto di “accessibilità totale” e l’obbligo
di pubblicazione di una serie di informazioni e dati: si configura
così una sorta di mutazione genetica del concetto di trasparenza che
segna la distanza, sul piano
giuridico, con l’istituto dell’accesso.
Con il D. Lgs. 150/2009 infatti la trasparenza si pone al di
fuori dello schema procedimentale in senso stretto, e diviene modello
orientato all'
open government, capace di favorire “forme
diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e
imparzialità".
Ed è proprio di questi anni il tentativo del Governo Italiano -
sollecitato anche da gruppi di esperti della società civile
(Associazione Italiana per l’Open Government, Spaghetti Opendata,
Agorà Digitale, etc. ) - di ridefinire il rapporto tra Pubblica
Amministrazione e cittadino, basandolo su tre fondamentali elementi:
Trasparenza; Partecipazione, Collaborazione.
Il Decreto Legislativo 20 marzo 2013 n. 33 nasce in questo contesto per ribadire il concetto
di “accessibilità totale” riordinare e ampliare gli obblighi
di informazione e pubblicazione nelle pubbliche amministrazioni.
Ma
le novità del D. Lgs. 33 non riguardano il riordino né
l’ampliamento degli obblighi di pubblicazione:
1. Il diritto di accesso civico
La nuova legge riconosce a “chiunque" il nuovo diritto di
“accesso civico” alle informazioni e dati per i quali non si sia
provveduto alla pubblicazione. E’ un diritto svincolato da quei
requisiti di legittimazione che caratterizzano l'accesso della L.
241/1990; è azionabile gratuitamente senza formalità, senza
necessità di motivare l'istanza, senza dover dimostrare l'utilità
dell'atto rispetto ad esigenze difensive del richiedente.
Il diritto di accesso civico riguarda tutti i documenti, le informazioni
e i dati che in base alla "normativa vigente" devono essere
pubblicati: non quindi diritto limitato agli obblighi scaturenti dal
D.Lgs. 33/2013, ma esteso, ad esempio, agli atti e documenti oggetto
di pubblicazione all'albo pretorio (obbligo scaturente da altra
normativa)
Anche se siamo ben lontani da quell’approccio culturale di oltre oceano
conosciuto con il nome di FOIA (Freedom of Informaction Act) , si
tratta comunque, almeno sulla carta, di un sistema certamente
innovativo, in grado di "costringere dal basso" le
amministrazioni ad assicurare la pubblicità che la legge prescrive,
mettendo il cittadino al centro e in condizione di chiedere,
valutare, partecipare.
2. Il diritto ai dati aperti (opendata)
Documenti, informazioni e dati previsti dalla normativa devono essere
pubblicati in formato di tipo aperto (art. 7) e sono riutilizzabili
con obbligo di citarne la fonte e rispettarne l'integrità.
Trasparenza
e apertura del dato sono concetti diversi. Se è vero che l’apertura
del dato include la trasparenza, non necessariamente è vero il
contrario.
L’importanza e la portata innovativa di questa disposizione non sembra ancora
essere ben compresa nelle pubbliche amministrazioni.
La scelta dei dati aperti contribuisce infatti a sviluppare un approccio
culturale (prima ancora che tecnologico o giuridico) e proietta la
trasparenza amministrativa verso un nuovo paradigma: una trasparenza
non più solo “prodotto” delle amministrazioni, ma da realizzarsi
anche da parte di terzi, con l’elaborazione delle informazioni
rese disponibili dalle PA. Associazioni non profit, istituti di
ricerca, media, divengono mediatori della trasparenza tra istituzioni
e cittadini.
In tale prospettiva il riutilizzo delle informazioni del settore
pubblico assume un ruolo strategico che va assicurato eliminando gli
ostacoli di tipo tecnico (legati ad esempio al formato utilizzato) e
giuridico (relativi alla licenza d’uso) che ne impediscono o ne
limitano la possibilità di riutilizzo.
3. Qualità dei dati
Qualità dei dati è: integrità, costante aggiornamento, completezza,
tempestività, semplicità di consultazione, comprensibilità,
omogeneità, facile accessibilità e conformità dei dati ai
documenti originali. La previsione vuole responsabilizzare le
amministrazioni nella gestione dei dati ed evitare le cosiddette
“forme di opacità per confusione”, in cui la mole o le modalità
di pubblicazione dei dati rendono impossibile ai cittadini reperire
ciò che interessa.
Detto questo, l’idea della pubblica amministrazione “casa di
vetro” si scontra, oggi come allora, con solide resiste interne ed
esterne alla PA.
A circa tre mesi dall’entrata in vigore della legge 33/2013,
un mappa mette in rilievo l’inottemperanza della gran parte delle
pubbliche amministrazioni agli obblighi di legge; né il singolo
cittadino appare, per ora, particolarmente interessato (o, forse,
informato) sul suo diritto ad essere informato e, soprattutto del
suo diritto di accesso civico.
Ma ciò che conta davvero per una trasparenza effettiva è la
pubblicazione online di obiettivi, risorse impiegate e risultati
raggiunti, anche dal punto di vista dell’efficacia delle azioni
(outcome): la domanda non è più “quanto ci costa?”, ma “quanto
si spende rispetto agli altri e, a parità di spesa, qual è il
livello dei servizi erogati?”.
La risposta presuppone che, accanto ad un sistema efficace di
trasparenza, si crei un circolo virtuoso fatto di ascolto dei
cittadini, benchmarking, misurazione delle performance e
comunicazione dei risultati.
Da tutto questo si è ancora lontani.
Alla crescita esponenziale di obblighi normativi, direttive e circolari, non è seguito un vero
cambiamento dentro la pubblica amministrazione: gli enti "più virtuosi” hanno sì adempiuto agli obblighi di “trasparenza
statica”, ma si son ben guardati dal collegare risorse impiegate -
risultati raggiunti per dare risposta alla domanda: Dove sono andati
e cosa hanno prodotto i soldi che ho fornito con le tasse?”.
E mentre la società civile va avanti, innova e si trasforma; e gruppi di esperti
rendono disponibile la loro conoscenza per l’Open Government
Partnership, nella Pubblica Amministrazione la Presidenza del Consiglio deve ricordare a
Ministri e Sottosegretari che – entro il prossimo 28 luglio –
sono obbligati a
pubblicare on line i propri redditi e la propria
situazione patrimoniale.
E si attende ancora di vedere pubblicati sui
siti istituzionali i nominativi del Responsabile della Trasparenza e
del Responsabile della prevenzione della corruzione.
Tutto pare ruotare attorno a un errore di fondo dell’impianto normativo:
non si è voluta riconoscere la competenza della comunicazione
istituzionale ad assolvere alla funzione di Responsabile della
Trasparenza, attribuita , invece, in capo agli operatori del diritto
che si limiteranno ancora una volta ad affrontare il problema in
termini formali e di interpretazione giuridica: con l’obiettivo,
spesso, di restringerne il campo di applicazione.
C’è invece urgente bisogno di una più ampia visione tesa a
sensibilizzare la comunità interna alla PA verso una nuova cultura
della trasparenza e un nuovo rapporto con il cittadino: perché in
fondo, la Trasparenza non è altro che un rinnovato patto di
relazione e di fiducia tra Stato e cittadini.